Artista industriale di rilevanza internazionale Bruno Aita (1954) riflette sulla relazione di straniamento tra uomo, natura e ambiente in termini prettamente pessimistici. Il degrado alienante è al centro della sua poetica e il nero è il colore che domina le sue composizioni. Nelle opere di Aita si esprime al più alto lirismo lo spirito della tragedia che caratterizza la condizione esistenziale dell’uomo nella società contemporanea che si sviluppa attraverso una continua esasperata estraniazione dal contesto naturale e l’immersione in un ambiente industriale dominato dalla tecnologia, dai telefoni cellulari e dalle costruzioni in lamiera. L’uomo si trova dunque, nelle opere di Aita, implicato suo malgrado in una condizione paradossale e kafkiana priva di vie d’uscita dove solo il nero della disperazione più cupa si pone come simbolo del suo inevitabile futuro.
Manuel De Marco (1987), artista poliedrico e multidisciplinare concentra la sua attenzione sul corpo umano e sulle sue capacità espressive. La contemporaneità dell’essere umano nella sua corporeità di soggetto incarnato e le aporie e paradossalità comunicative ad esso peculiari intrecciano ed uniscono la ricerca dei due artisti, entrambi preposti a comporre una attiva denuncia della società odierna e del soggetto contemporaneo che ne scaturisce.
Da un modello di comunicazione assente e degradata che possiamo dedurre dalle opere di Aita si passa, con De Marco, all’espressione di una relazionalità scarnificata e disintegrata, ridotta all’osso nel segno grafico di una parola ripetuta all’infinito e negli archetipi comunicativi delle impronte, che riportano la comunicazione ad un livello primitivo, animale, pre-concettuale e anti-concettuale, ricalcando una matrice prettamente arcaica ed istintiva. La negazione del Soggetto Cogitante, la negazione del concetto e la messa in discussione delle possibilità comunicative nell’oscuro orizzonte della contemporaneità accomunano nel profondo i due artisti, le cui opere abbinate generano un nero vortice che corrode la carne e l’intelletto dell’Uomo contemporaneo, lasciando nello spettatore lo stupore sommo e l’amarezza indelebile di un gesto fallito e una parola svuotata, che riportano inevitabilmente ad un’intersoggettività vissuta come angoscia e smarrimento esistenziale, smarrimento di sè e dell’Altro.